sexta-feira, 13 de fevereiro de 2009

Troccoli, o Battisti Uruguaio

Troccoli, il Battisti uruguayano
di Roberto Rossi

Un caso “Cesare Battisti” ce lo abbiamo anche in Italia. Non ha sollevato le polemiche. Anzi, è passato sottotraccia, senza creare scalpore, senza alcuna indignazione ministeriale o richieste di annullamento di amichevoli. Il “nostro Cesare Battisti” è uruguayano, anche se da qualche anno ha la nazionalità italiana. Si chiama Jorge Troccoli. Ha 64 anni, la corporatura robusta e un pizzetto bianco. È stato capitano dei Fucilieri Navali dell’Uruguay, ed è accusato di aver fatto sparire un numero imprecisato di persone nel suo paese tra il 1975 e il 1983. Tra questi sei cittadini italiani. Il governo Berlusconi, nel settembre scorso, ha respinto la sua richiesta di estradizione.

Secondo la magistratura uruguayana Troccoli prese parte a quello che è conosciuto come Piano Condor. Una sorta di internazionale del terrore che, negli anni ’70, coordinò il sequestro, l'interscambio e la sparizione di migliaia di oppositori politici in Cile, Paraguay, Uruguay, Brasile, Bolivia e Argentina. Troccoli ammise la sua partecipazione al trasporto clandestino dei detenuti politici tra Uruguay e Argentina ma non ha mai subito un processo. Troccoli ha lasciato il Sud America da tempo per rifugiarsi proprio in Italia, dove nel 2002, nonostante si conoscesse il suo passato, ha ottenuto la cittadinanza italiana. Secondo la stampa uruguayana per lo stesso reato di cui è accusato Troccoli, «omicidio specialmente aggravato» e «violazione dei diritti umani», lo scorso ottobre la Corte d’Appello di Montevideo ha confermato l’incriminazione dell’ex dittatore Gregorio Alvarez e dell’ufficiale della Marina in pensione Juan Carlos Lacerbeau.

In Italia Troccoli è stato arrestato il 29 dicembre del 2007 a Marina di Camerota in provincia di Salerno nell’ambito dell’inchiesta condotta dal pubblico ministero Giancarlo Capaldo sui deparecidos di origine italiana. Nella quale sono coinvolte circa 147 persone (14 brasiliani, 61 argentini, 32 uruguayani, 22 cileni, 7 boliviani, 7 paraguaiani e 4 peruviani) accusate di crimini contro l’umanità. Ma in carcere Troccoli era rimasto poco. La Corte di Appello di Salerno lo aveva rimesso in libertà il 24 aprile scorso non essendo pervenuta nel termine previsto del 23 marzo la richiesta di estradizione dall’Uruguay. Nel paese sudamericano la cosa aveva sollevato un caso nazionale. Dopo due mesi di proteste lo scorso giugno il governo di Montevideo aveva deciso di sollevare l’ambasciatore Carlos Abin e il suo braccio destro Tabare’ Bocalandro. Ma soprattutto di proseguire la causa contro l’ex capitano, riprendendo l’iter di estradizione.

Una richiesta che lo scorso settembre ha subito un brusco stop. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha negato alle autorità uruguayane di riprendersi Troccoli. Nella risoluzione si sostiene che l’ex militare accusato di crimini contro l’umanità è nato in Italia ed è rimasto cittadino italiano, per cui per il trattato in vigore tra i due paesi (firmato più di un secolo fa, cioè nel 1879), non è estradabile. Contro la decisione del governo italiano l’Uruguay ha presentato un ricorso presso la Corte di Cassazione. Che lo ha però rigettato. Nella sentenza, però, la Corte ha riconosciuto come la sentenza della Corte di Appello di Salerno, che rimetteva in libertà Troccoli, fosse sbagliata. Secondo la Cassazione i termini del ricorso non erano scaduti. Tra l’altro, il governo di Montevideo, che in Italia si è affidato all’avvocato Fabio Maria Galiani, ha sempre sostenuto di aver depositato la documentazione nei tempi previsti.

Nonostante la Cassazione e il Trattato secolare Troccoli, visto che ora è cittadino italiano, potrebbe essere sottoposto a processo in Italia per reati come sequestro di persona e omicidio. Non per crimini contro l’umanità visto che ancora la nostra legislazione non si è mai adeguate alle regole internazionali. Inoltre il nostro governo potrebbe formalizzare con il governo uruguayano un nuovo accordo che permetterebbe di creare profili investigativi comuni. Anche qui serve la volontà del ministro della Giustizia.
30 gennaio 2009

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